Venture Building: l’impatto sull’organizzazione aziendale

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Insieme allo startup studio, è il principale trend in atto nell’ecosistema dell’innovazione italiano: in questo modo l’Italian Open Innovation Lookout 2024 del Politecnico di Milano, di cui Cariplo Factory è partner, descrive il fenomeno del venture building, ancora limitato in termini di impatto sul valore complessivo del mercato ma in fortissima crescita e con un grande potenziale ancora inespresso.

 

La differenza tra venture building e startup studio e l’importanza dei player specializzati nelle prime fasi di un nuovo progetto

 

A differenza dello startup studio, dove il “trigger” di innovazione secondo gli esperti del Politecnico coincide con uno specifico “market gap”, il venture building ha come obiettivo quello di rispondere al bisogno di innovazione di una corporate o di una sua business unit, facendo leva sulle risorse tecnologiche, finanziarie, umane e informative di cui quest’ultima dispone.

 

Il corporate venture building, in questo senso, si configura come un’alternativa – solitamente meno costosa – al M&A di startup per portare l’innovazione all’interno delle aziende stesse, sfruttando gli asset già disponibili. Nell’attuale scenario competitivo la maggior parte dei progetti di venture building nascono con il supporto di un player esterno specializzato, come Cariplo Factory, per poi sfociare nella costituzione di team interni dedicati, come nel caso di Eniverse.

 

Dal team di marketing a quello legale, come cambiano le caratteristiche e mentalità delle diverse business unit aziendali

 

In questo contesto è importante sottolineare come il venture building si inserisca all’interno di un movimento più generale di cambiamento che sta portando alla crescente decentralizzazione dei processi decisionali, alla contaminazione tra i team di lavoro e all’ apertura verso le innovazioni provenienti dall’esterno. Non deve sorprendere, quindi, che un progetto di venture building possa generare un cambiamento profondo innanzitutto negli equilibri interni aziendali, a tutti i livelli dell’organizzazione.

 

Nel dettaglio, tra i cambiamenti più significativi vi è la tendenza a mettere in discussione ruoli e team tradizionalmente percepiti come dotati di una forte autonomia all’interno delle aziende, come ad esempio:

  • il team di marketing e comunicazione, il quale in un progetto di venture building deve dotarsi di processi, competenze e figure capaci di promuovere nuovi prodotti e servizi anche attraverso tecniche di growth hacking, rispetto a un approccio più istituzionale
  • il team di corporate finance, il quale deve sviluppare competenze nell’ambito della finanza innovativa per reperire capitali e risorse per le nuove soluzioni e spinoff nate durante l’attività di venture building, acquisendo una mentalità più simile a quella di un venture capitalist
  • il team di ricerca e sviluppo, che deve acquisire competenze e sensibilità “market-oriented”, collaborando più strettamente con il team di marketing per accelerare la messa a terra dell’innovazione e la sperimentazione di quest’ultima direttamente sul campo
  • il team legale, che deve dotarsi degli strumenti e delle risorse sufficienti a gestire in maniera più rapida le pratiche, ponendosi al servizio della velocità e flessibilità richiesta dai processi di innovazione che nasceranno all’interno dell’azienda fin dalle prime fasi del venture building

 

Prima ancora di queste metamorfosi profonde e verticali, a cambiare dovrà essere innanzitutto l’approccio della dirigenza: la capacità di comunicare il cambiamento in atto senza generare timore nei dipendenti, di riassegnare i ruoli in base alle mutate esigenze aziendali, di favorire il passaggio da una organizzazione verticale a un’entità permeabile verso gli stimoli esterni sono tutti requisiti necessari a governare un processo di venture building, scongiurando il rischio di ottenere un effetto opposto rispetto a quello atteso.

 

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Il venture building come prerequisito culturale delle imprese di domani, per rimanere competitivi e attrarre i talenti

 

Se le stesse ricerche confermano lo straordinario potenziale del venture building nel mettere le corporate nelle condizioni di competere con le startup e le innovazioni più “disruptive”, al tempo stesso è importante sottolineare come neppure questa metodologia sia esente dal rischio di insuccesso, soprattutto nei contesti meno favorevoli all’innovazione. La disponibilità di risorse adeguate, la familiarità con percorsi di open innovation, la vicinanza agli ecosistemi più dinamici, la stessa età media e formazione dei dipendenti sono variabili di cui tener conto prima di intraprendere un percorso di questo tipo.

 

In prospettiva, il venture building possiede in sé tutte le caratteristiche per diventare un prerequisito culturale ancor prima che finanziario: favorendo la decentralizzazione, la valorizzazione delle persone e degli asset già presenti, esso può motivare i dipendenti e aumentare l’attrattività verso i talenti esterni, con la prospettiva di carriere più rapide e ruoli di maggiore responsabilità. Dopo gli anni della “disruption” generata dalle startup, acquisite solo a prezzo di investimenti e rischi finanziari rilevanti, il venture building rappresenta oggi lo strumento per creare innovazioni “distruptive” facendo leva sugli asset delle corporate di cui proprio le startup sono prive. A condizione, tuttavia, di assomigliare un po’ di più a queste ultime.

 

Paolo Salza
Innovation Manager